La casa su Facebook è una casa reale? I furti nei social network e la custodia delle password.

Si può svaligiare una casa sul web ?

Secondo la procura di Palermo evidentemente si.

Secondo l’Ansa  infatti la procura di Palermo avrebbe  aperto un indagine su un ‘furto’ compiuto da un hacker nella casa virtuale di un ignaro utente nel contesto del  social network Facebook.

Secondo i “lanci di agenzia”,  un’impiegata del Pubblico Registro Automobilistico di Palermo avrebbe subito un vero e proprio “furto virtuale” all’interno dell’applicazione ”Pet society”  operante sul famoso social network Facebook e che consente la creazione di una sorta di casa virtuale arredabile dai partecipanti al gioco.

Il Gip, sempre secondo le notizie di stampa, avrebbe rigettato l’archiviazione proposta dal pubblico ministero disponendo la prosecuzione delle indagini in virtù della ”introduzione abusiva e aggravata” nella corrispondenza elettronica e nelle attivita’ ad essa collegate.

Nonostante le possibili imprecisioni numeriche ( l’art 615 ter del codice penale anziché l’art 615)  sembra dunque che  il titolo di reato per il quale si stia procedendo sia  l’art 615 ter ovvero la norma che penalizza l’accesso abusivo a sistema informatico e non quella diversa dell’art 615 bis che tutela l’interferenza illecita nella vita privata né la norma dell’art 614 che penalizza la violazione di domicilio.

Da queste comunicazioni potrebbe apparire impropriamente che il procedimento equipari la casa virtuale presente su Facebook ad una casa reale e che vi sia stata quindi una violazione del domicilio virtuale simile a quello che avviene nel domicilio reale in occasione di un furto.

In realtà le cose, almeno da punto di vista giuridico non sembrano potersi qualificare in tal modo.

L’art 615 ter del codice penale per cui si starebbe  procedendo prevede l’accesso abusivo a sistema informatico ovvero l’introduzione abusiva in un sistema informatico ( che può essere ovviamente anche il proprio account di posta elettronica) mediante, ad esempio, anche il furto della password , o anche altri sistemi, della povera impiegata pubblica che si spera, non utilizzava Facebook per arredare la propria casa virtuale durante le ore lavorative.

Non sembrerebbe potersi però parlare di un’equiparazione tra domicilio reale e domicilio virtuale visto che secondo la tesi predominante in dottrina e giurisprudenza   il domicilio informatico non può assolutamente essere comparato alla tradizionale figura di domicilio in quanto non c’è alcuna analogia tra i sistemi informatici e i luoghi privati menzionati dall’art. 614 c.p.

Anche se non è mancato chi vorrebbe vedere quindi negli accessi non autorizzati  una sorta di privacy informatica, ancor prima di verificare se siano state attaccate l’integrità e la riservatezza dei dati.

Molto più plausibilmente quello che è accaduto può essere fatto rientrare nel “furto” di una password ( quindi nell’accesso abusivo)  e nella frode compiuta ai danni della signora per il danno subito,  e da questo punto di vista probabilmente si sarebbe dovuto procedere anche per la frode informatica prevista dall’art 640 ter del codice penale   che prevede  «chiunque, intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri ingiusto profitto con altrui danno».

Questo perché se come appare, la vittima del reato aveva  anche comprato gli oggetti di arredamento virtuale  con la  carta di credito appare evidente che vi sia stato un ingiusto profitto e l’altrui danno.

 Per inciso la Corte di Cassazione nel passato ha ritenuto concorrenti i due reati , ovvero contestabili entrambi .

Proprio al fine di evitare che accadano fatti simili nei giorni scorsi Facebook   , aveva  annunciato nei giorni scorsi l’ultima novità per tranquillizzare gli utenti: la password monouso, da richiedere con un sms, per accedere al proprio account dai computer pubblici.

 “Se si è preoccupati della sicurezza del pc da cui si sta accedendo a Facebook, si può richiedere l’invio di una password temporanea che sostituisca quella normalmente in uso”, ha spiegato il social network sul suo blog.

La password usa e getta dura 20 minuti.

 Chissà se l’ignara dipendente pubblica avesse avuto la password unica temporanea da usare nei computer pubblici tutto questo non  sarebbe successo?

Fulvio Sarzana

www.fulviosarzana.it
Studio Legale Roma Sarzana & Associati
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