La Wikileaks italiana: I provider italiani impugnano di fronte al Tribunale della libertà di Milano il sequestro preventivo delle pagine del network internazionale Indymedia e richiedono l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sugli ordini di inibizione.

Come si ricorderà il 13 giugno 2012,  tutti gli  Internet Service provider nazionali ( nella fattispecie 271 imprese tra Provider nazionali ed aderenti ad ASSOPROVIDER)   ricevevano un  fax   dal  Nucleo di Polizia tributaria di Milano con la quale si ordinava l’inibizione, per i cittadini italiani all’accesso di alcune sezioni del network di comunicazione Indymedia.

La vicenda  veniva ripresa da diversi organi di stampa, scatenando anche una ridda di voci sul perché le sezioni fossero ancora presenti su internet, sul perchè alcuni provider avessero nel frattempo dato adempimento e altri no, http://piemonte.indymedia.org/article/15270  sino a giungere ad articoli dubbiosi sullo stesso sequestro, nonostante vi fosse un provvedimento esplicito del GIP di Milano, Criscione. http://www.articolo21.org/2012/06/web-indymedia-piccolo-giallo-su-alcune-pagine-che-i-pm-vorrebbero-oscurare/

Cosa è accaduto e cosa accadrà.

Indymedia aveva pubblicato dei leaks che delineavano ( a detta dell’articolista anonimo) uno scenario da spystory legato all’attività di una multinazionale con sede a Genova, che avrebbe coinvolto apparentemente anche nomi molto noti della finanza italiana, il tutto suffragato da documentazione riservata che era stata pubblicata integralmente sulle sezioni Toscana e Piemonte del portale,.

La storia era stata poi ripresa da testate quali Milano Finanza.

La società aveva poi querelato l’articolista anonimo e la stessa indymedia ottenendo a giugno di quest’anno  anche il  sequestro di intere sezioni del portale www.indymedia.org ( nella fattispecie le sezioni Toscana e Piemonte dello stesso network)  nonostante all’interno dell’articolo sequestrato si fosse dato apparentemente  conto di tutte le ragioni della stessa società multinazionale.

La stessa Indymedia ha infatti una policy che consente a chiunque si ritenga leso di disporre rettifiche e/o variazioni agli articoli postati da soggetti terzi rispetto alla propria organizzazione.

Tale policy, nonostante l’autore dell’articolo non avesse niente a che fare con la stessa Indymedia, è sembrerebbe essere stata stata rispettata tant’è che nell’articolo sottoposto a sequestro sono contenute le repliche  inviate dalla  società, le risposte della redazione e tutto l’iter della notizia e i documenti a supporto degli stessi.

Nonostante ciò, a distanza di quattro anni dalla querela e a quasi quattordici anni dai fatti, IL GIP di Milano, disponeva il 24 maggio scorso il sequestro preventivo delle pagine incriminate.

L’ordine però non  veniva rivolto alla stessa Indymedia o al provider che pubblica il portale di Indymedia, ma a tutti i provider italiani di accesso.

  In sostanza è come se venisse chiesto a diverse società che gestiscono autostrade di bloccare gli accessi ad un determinato paese, a seguito  del verificarsi di un reato all’interno di una stanza di una specifica abitazione invece di sequestrare la singola casa e/o la stanza ove è stato commesso il reato.

 

Quest’ordine, diversamente dal sequestro o dalla cancellazione di singoli post o singole frasi è inbgrado di ottenere, senza conivolgere le testate o gli articolisti ( che possono anche difendersi ed argomentare sulla verità dei fatti)  la cancellazione di interi siti internet o di sezioni ( anche molto estese, con centinaia di articoli) di siti internet

 

Perché questo?

Perché tecnicamente i provider di accesso ( cioè coloro che ci danno accesso ad internet) non possono agire sulla singola frase o sul singolo articolo ma devono necessariamente inibire l’accesso ai cittadini italiani di  tutto il sito o a sezioni del sito facilmente riconoscibili ( come la sezione piemonte o toscana di indymedia).

Il blocco opera infatti solo a livello di DNS e di numero IP, ovvero dei dati che identificano con precisione un indirizzo internet completo e non una singola frase o una singola pagina.

E’ quello che avviene con i siti di pedofilia che sono all’estero

Cosa comporta tutto questo?

 

Se passa questa forma di inibizione noi ci troveremo ( come già accaduto nel caso del portale del Vajont http://www.lidis.it/newsdetail.asp?ID=1301  e oggi di Indymedia) che qualsiasi articolo di stampa on line, ritenuto diffamatorio potrà portare come conseguenza la chiusura dell’intera testata.

Il provider di accesso non può distinguere all’interno di una testata con centinaia di articoli le singole frasi o i singoli articoli, per impedire a tutti i propri clienti di avere accesso a quell’articolo per cui se la cancellazione non viene fatta dalla testata o dal provider dove è pubblicato il sito, l’intero sito ( o la sezione incolpevole) sarà inibita.

Senza che la testata, l’articolista, o l’hosting provider lo sappiano.

 

Vediamo le conseguenze.

 

Pensiamo ad esempio alle prossime elezioni politiche.

Uno o più candidati che hanno avuto ( o hanno) problemi con la giustizia, potrebbero richiedere ad un Magistrato l’eliminazione di uno o più articoli ritenuti diffamatori, in via preventiva, giusto in tempo per essere eletti, ottenendo ( come nel caso del Vajont e di in indymdedia)  la “scomparsa” di intere sezioni di siti o dello stesso sito, se il portale è all’estero.

 

Cosa fanno i provider:

I provider Italiani di CONFCOMMERCIO ( aderenti ad Assoprovider) hanno deciso di impugnare il 22 giugno di fronte al Tribunale del Riesame di Milano, attraverso i legali dello Studio legale Sarzana www.lidis.it, coadiuvati in questa iniziativa dall’Avv. Marco Scialdone, il sequestro Indymedia, per portare all’attenzione della Magistratura e dell’opinione pubblica le gravi conseguenze sulla libertà di espressione e sulle prerogative della stampa on line connesse ad ordini di inibizione di questo tipo.

Contemporaneamente gli stessi Provider hanno  deciso di investire il Tribunale di Milano  della questione in via pregiudiziale  della legittimità   degli ordini di inibizione a carico dei provider  richiedendo allo stesso Giudice Meneghino  di devolvere la questione  alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, così da chiarire se le norme Comunitarie consentano ai giudici nazionali di disporre ordini di inibizione di tal fatta.

Fulvio Sarzana

www.fulviosarzana.it
Studio Legale Roma Sarzana & Associati
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