La corte di giustizia UE interviene sulla diffamazione on line con una sentenza che sembra andare in una direzione opposta rispetto alle Sezioni Unite della Cassazione Italiana. Il rappresentante italiano presso la Corte ignora i progressi della nostra giurisprudenza in materia e chiede l’irricevibilità dei ricorsi per motivi inspiegabili.

La Corte di giustizia UE  con una sentenza del 25 ottobre 2011 nelle cause riunite C-509/09 e C-161/10, relative a due noti casi di cronaca, interviene nel settore della competenza giurisdizionale in caso di diffamazione on line con una sentenza che appare contrastare con i recenti orientamenti della corte di Cassazione italiana.

 In particolare afferma la Corte:

 “ in caso di asserita violazione dei diritti della personalità per mezzo di contenuti messi in rete su un sito Internet, la persona che si ritiene lesa ha la facoltà di esperire un’azione di risarcimento, per la totalità del danno cagionato, o dinanzi ai giudici dello Stato membro del luogo di stabilimento del soggetto che ha emesso tali contenuti, o dinanzi ai giudici dello Stato membro in cui si trova il proprio centro d’interessi. In luogo di un’azione di risarcimento per la totalità del danno cagionato, tale persona può altresì esperire un’azione dinanzi ai giudici di ogni Stato membro sul cui territorio un’informazione messa in rete sia accessibile oppure lo sia stata. Questi ultimi sono competenti a conoscere del solo danno cagionato sul territorio dello Stato membro del giudice adito”.

 In pratica chi si sente diffamato su internet può rivolgersi direttamente ai giudici dello Stato in cui risiede o e domiciliato per chiedere il completo ristoro dei danni subiti in tutto il territorio dell’Ue.  Se invece adirà singolarmente i giudici dei vari Stati membri, ciascuno di essi sarà competente unicamente per i danni cagionati all’interno del suo paese.

 Alcune puntualizzazioni sembrano necessarie:

 la norma non si riferisce a fattispecie di carattere penalistico ma civilistico.

 La diffamazione è un reato destinato ad essere perseguito ovviamente in sede penale  mentre la lesione dei diritti della personalità ( i diritti all’onore e alla reputazione)  opera in sede civilistica,  il concetto sembra banale ma non lo è in quanto le regole di individuazione del forum commissi delicti in sede penale non sono le stesse di quelle civilistiche.

Nella pratica dei tribunale in verità le due fattispecie ( quella civilistica e quella penalistica) dal punto di vista del “diffamato” sono di norma equivalenti, nel senso che colui che intende essere risarcito può agire in sede penale ( per la diffamazione appunto) oppure in sede civile come  nel caso affrontato dalla Corte di giustizia.

 Ad una prima analisi devo dire che la sentenza non mi sembra un capolavoro di tecnica giuridica e pur inserendosi in una giurisprudenza conforme ( ma in altri campi diversi all’internet) della Corte mi appare più un tentativo di “salvare capra e cavoli” che un vero e proprio “revirement” definitivo sugli illeciti compiuti attraverso internet.

 Non mi convincono in particolare due elementi:

 Il primo è l’alternatività tra i due fori ( quello dello stabilimento e quello di residenza del danneggiato) atteso che ragionando  in questo modo si rischia di privare il danneggiante del giudice naturale stabilito per legge, secondo la definizione data al concetto di giudice naturale dalla nostra Costituzione.

 In pratica si da la possibilità a chi denuncia di scegliersi il giudice più comodo.

 E’ questo il motivo peraltro per cui la Corte di Cassazione Italiana a Sezioni Unite  con ordinanza  n. 21661 del 13 Ottobre 2009 ha stabilito come  il foro applicabile in caso di lesione all’onore ed alla reputazione attraverso internet  ( ancorchè in una controversia di carattere nazionale) sia quello di residenza o di domicilio del danneggiato e non quello di stabilimento del danneggiante, sul presupposto tra l’altro, della diversità di atteggiamento delle norme di carattere penalistico da quelle di carattere civilistico sulla produzione dell’evento-danno.

 

Va detto però che    la Corte di Giustizia ha costantemente interpretato l’art. 5 n.3 del Regolamento CE n.44/2001 (e della Convenzione di Bruxelles del 1968) nel senso di ritenere che  qualora il luogo in cui avviene il fatto implicante un’eventuale responsabilità da delitto o quasi delitto non coincida col luogo in cui tale fatto ha causato un danno, l’espressione «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto» di cui all’art. 5, punto 3, della Convenzione di Bruxelles vada intesa nel senso che si riferisce tanto al luogo ove è insorto il danno quanto al luogo ove si è verificato l’evento generatore dello stesso, di modo che il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, dinanzi al giudice dell’uno o dell’altro di tali due luoghi. Si veda ad es  Corte di Giustizia (Sesta Sezione) del 5 febbraio 2004, Danmarks Rederiforening, Causa C-18/02.

Quello che proprio non  mi convince però dell’arresto comunitario  è la possibilità per i giudici di ciascuno stato membro di giudicare della parte di danno che avverrebbe sul proprio territorio.

Anche qui la Corte si rifa a precedenti comunitari legati a violazioni trasfrontaliere a mezzo stampa che però mi sembrano non più attuali.

 Invece di superare il principio di territorialità come dovrebbe richiedere la rete internet, o di adottare principi onnicomprensivi come quelli adottati dalla giurisprudenza italiana in ambito penale con il principio di ubiquità ovvero di quelli adottati  dalla dottrina e giurisprudenza statunitense con il principio del minimum contact, la Corte ha preferito parcellizzare la competenza a decidere salvaguardando di fatto le prerogative ed i poteri dei giudici degli Stati membri  con il rischio di far emettere ai Giudici Nazionali sentenze opposte sullo stesso punto.

In tutto questo l’Italia non avrebbe mancato ancora una volta  di segnalarsi in senso negativo.

Da quanto pare emergere dalla sentenza infatti  invece di evidenziare i progressi delle nostri Corti che, di fatto pongono la nostra giurisprudenza all’avanguardia nella definizione delle norme procedurali che riguardano la rete internet,  il rappresentante  dello Stato Italiano, lungi dal domandarsi se la questione potesse avere una rilevanza determinante nelle controversie attinenti internet si sarebbe  limitato a richiedere alla Corte l’irricevibilità del ricorso ( quindi non il rigetto sul merito)   per l’assenza dell’attualità dei ricorsi, escludendo quindi che la Corte dovesse occuparsi della vicenda.

Trattandosi di inibitorie cautelari l’eliminazione ( effettuata quando il ricorso era già stato presentato)  di una  parte dei contenuti da parte del danneggiante non renderebbe, secondo l’Italia, ricevibile il ricorso ( in quanto non attuale)  alla Corte di Giustizia .

Una tesi che potrebbe propugnare l’ Avvocato che cerca di far assolvere un suo cliente di fronte alle magistrature minori, ma che  non sembra  all’altezza della posizione ufficiale di uno Stato ( che fra l’altro non c’entrava nulla con le controversie)  in un precedente comunitario di quella importanza.

 

Ed infatti la ha Corte rigettato  con durezza l’eccezione di irricevibilità proposta, non si sa perché, dallo Stato Italiano.

 

Fulvio Sarzana

www.fulviosarzana.it
Studio Legale Roma Sarzana & Associati
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