Si è già detto quasi tutto sull’ordinanza cautelare che ha disposto l’inibitoria nei confronti di Yahoo per la violazione del copyright ma alcuni particolari non conosciuti stanno filtrando in queste ore.
Stefano Quintarelli ha pubblicato la sentenza in versione integrale http://blog.quintarelli.it/files/ordinanza-pfa-ms.pdf
Innanzitutto si tratta di un’ordinanza e non di una sentenza, la stessa contiene un’inibitoria ex art 156 della legge sul diritto d’autore e art 700 del codice di procedura civile, e la stessa è stata ( o sarebbe in procinto di essere ) impugnata in sede di reclamo da parte di Yahoo.
Le Parti.
Le parti del procedimento ( per ciò che interessa in questa sede) sono state il ricorrente, ovvero la casa cinematografica che ha lamentato la violazione del diritto d’autore relativo al film per il quale erano presenti link che rimandavano a siti non ufficiali sui motori di ricerca, Yahoo, Google e Microsoft in qualità di resistenti.
Queste ultime due avrebbero eccepito il difetto di legittimazione passiva in quanto soggetti che non risponderebbero con i loro branch nazionali delle attività compiute dalla capogruppo o da altre società del gruppo e che risiedono in paesi che non sono l’Italia, ed il giudice ha dato loro ragione.
Il fatto peraltro accade molto spesso quando si ha a che fare con società multinazionali
Il giudice avrebbe accertato innanzitutto questo difetto di legittimazione passiva condannando il ricorrente a pagare in favore di Google e di Microsoft le spese processuali che sarebbero state quantificate in circa 5000 e 6000 mila euro.
Il principio di diritto:
Quanto al principio di diritto, il Giudice della nona sezione del tribunale di Roma, una delle sezioni specializzate in proprietà intellettuale e industriale, lo stesso, stando a quanto ha scritto Massimo Melica http://www.massimomelica.net/tecnologie-societa/1311/yahoo-lordinanza-del-giudice-di-roma-tanto-rumore-nulla che per primo ha dichiarato di conoscere l’ordinanza si sarebbe limitato a stabilire che il motore di ricerca deve rimuovere i contenuti illeciti quando viene a conoscenza della natura illecita degli stessi.
Secondo Melica però la conoscenza si riferirebbe ad una conoscenza “qualificata” in quanto la conoscenza dovrebbe provenire da una segnalazione dell’autorità giudiziaria ( o dall’autorità competente secondo quanto previsto dal decreto legislativo 70 2003 sul commercio elettronico) ma in verità leggendo il testo emerge come la segnalazione in questione sia stata effettuata in realtà con diffida dai titolari dei diritti d’autore.
“Limitato” peraltro si fa per dire perché cosi facendo il giudice ha espressamente preso posizione sulla equiparabilità tra motore di ricerca e provider ( nella figura del caching provider, ovvero di colui che memorizza temporaneamente le informazioni, prevista dall’art 15 del decreto legislativo 70 del 2003) il quale risponde se non “agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l’accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione”.
Il tutto dopo aver dato conto, paradossalmente, che in sede Europea, o meglio nella stessa direttiva 31/2000 sull’e-commerce, il motore di ricerca non è equiparato ai provider ai fini dell’applicazione della norma sul commercio elettronico.
Il precedente di Google e la Corte di Giustizia:
L’ordinanza si è basata anche e soprattutto su quanto già stabilito dalla Corte di Giustizia Eu sulla responsabilità di Google in tema di violazione di collegamenti sponsorizzati in occasione di alcuni procedimenti per violazione dei diritti di proprietà industriali nel 2010.
In tali procedimenti si è stabilito che “ L’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»), deve essere interpretato nel senso che la norma ivi contenuta si applica al prestatore di un servizio di posizionamento su Internet qualora detto prestatore non abbia svolto un ruolo attivo atto a conferirgli la conoscenza o il controllo dei dati memorizzati. Se non ha svolto un siffatto ruolo, detto prestatore non può essere ritenuto responsabile per i dati che egli ha memorizzato su richiesta di un inserzionista, salvo che, essendo venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati o di attività di tale inserzionista, egli abbia omesso di prontamente rimuovere tali dati o disabilitare l’accesso agli stessi. Pres. Skouris – Rel. Ilešic – Google Inc. ed alto c. Louis Vuitton Malletier SA ed altri. CORTE DI GIUSTIZIA CE, Sez. Grande, 23/03/2010, Sentenze C-236/08 a C-238/08”.
In pratica il giudice italiano ha stabilito che Yahoo, al pari di Google nella vicenda portata all’attenzione della Corte di Giustizia, deve rimuovere i link una volta ricevuta la comunicazione dell’illiceità degli stessi.
Si ricordi peraltro che l’art 14 della direttiva citata dal Tribunale di Roma è denominato “hosting” per cui il Giudice italiano prima avrebbe dichiarato il motore di ricerca un caching provider per poi invece equiparare espressamente il motore di ricerca ad un hosting provider con le conseguenze future sugli obblighi di controllo, se dovesse passare tale impostazione, che tutti noi possiamo facilmente immaginare.
La richiesta del ricorrente:
Il problema peraltro sarebbe di più vasta portata in quanto il ricorrente avrebbe preteso un ruolo attivo del motore di ricerca nell’eliminare tutti i link illeciti onerando lo stesso motore di questa ricerca, il che ovviamente è del tutto impossibile oltreché pericoloso in quanto in tal modo il motore diverrebbe tra le altre conseguenze a tutti gli effetti parte della vicenda potendone in seguito risponderne a titolo di concorso, come infatti prevederebbero negli Stati uniti le disposizioni contenute nel Digital Millenium Copyright Act.
Si deve ricordare peraltro che nel sistema del DMCA statunitense, a cui ovviamente Google nelle proprie policy si rifà, http://www.google.it/dmca.html il meccanismo del notice and take down e la richiesta di eliminazione di link illeciti devono essere indicati con esattezza e non possono essere in alcun modo generici.
Questo sembra essere un altro punto debole della ricostruzione operata dal Giudice che invece avrebbe avallato questa generica “rimozione” di tutti i link conosciuti e conoscibili in ciò errando profondamente, a parere del sottoscritto, in merito all’applicazione delle norme contenute nel già richiamato decreto legislativo 70 del 2003 ed introducendo nel nostro Ordinamento una forma di “notice and take” down generico che non può trovare riconoscimento in questa forma e con le norme attualmente in vigore.
Yahoo dal canto suo avrebbe impugnato l’ordinanza proprio in queste ore presentando reclamo all’ordinanza di inibitoria basandosi anche e soprattutto su quest’ultimo punto.
Staremo a vedere.
Fulvio Sarzanawww.fulviosarzana.it
Studio Legale Roma Sarzana & Associati