La guardia di finanza impone il blocco all’accesso ai cittadini italiani attraverso i provider dei portali di outlet di marche come Valentino, Ferrè, Dolce e Gabbana su ordine dell’ANTITRUST, non per prodotti falsi, ma per le violazione attinenti il Codice del consumo.

Nel bel mezzo di una vera e propria tempesta mediatica scatenata dalle osservazioni sul blocco dei siti esteri da parte dei provider italiani  da parte del prof Valerio Onida e dopo l’ordinanza del Tribunale di Belluno sul portale Vajont  che tale oscuramento in caso di presunta diffamazione  riteneva illegittimo, il capitolo delle inibizioni all’accesso ai contenuti su internet attraverso gli internet service provider si arricchisce di un nuovo, e  inedito capitolo.

 Un’altra Autorità amministrativa indipendente ovvero l’Antitrust, ( e non l’AGCOM che ha rivendicato a sé tale compito per il tema del copyright)  per la prima volta in Italia decide di imporre autonomamente  a 218  provider italiani l’inibizione  all’accesso per i propri utenti in relazione ad alcuni portali di vendita di prodotti outlet residenti all’estero.

La novità consiste nello strumento utilizzato, ovvero il blocco agli utenti italiani attraverso i provider, che non sono stati peraltro oggetto di alcuna comunicazione precedente da parte dell’Autorità,  e nei motivi che hanno dato luogo all’inibizione.

L’Antitrust infatti non contesta al venditore, che è raggiunto da un ordine di inibizione previsto dall’art 27, comma 3, del codice del consumo, la vendita di prodotti falsi, ma il mancato rispetto in alcuni casi delle norme sulla garanzia dei prodotti, sulla spedizione dei beni, e sui tempi di consegna dei beni stessi.

Premessa la necessaria tutela nei confronti dei consumatori e le (probabili) giuste rimostranze contrattuali nei confronti di chi non rispetta il Codice del Consumo sembra di poter dire che la misura adottata nei confronti dei provider  vada al di là di quanto previsto dalle norme italiane in tema ( ovvero l’art 14, comma 3, l’art 15, comma 2 e l’art 16, comma 3, del decreto legislativo 70/2003), per due ordini di motivi:

1)       la competenza ad emettere provvedimenti cautelari inibitori nei confronti di soggetti terzi ad oggi è stata sempre esercitata dalla magistratura ordinaria, alla quale, peraltro, ci si può rivolgere, come nel caso accennato in precedenza, per rivedere i presupposti di legittimità della misura.

2)       L’Antitrust  ha disposto, senza la partecipazione procedimentale dei soggetti obbligati ad adottare la misura cautelare, ciò che appare essere a tutti gli effetti un sequestro preventivo in via amministrativa.

Si tratta, va ricordato, dell’esercizio  di un potere cautelare ( che ha tutte le caratteristiche di un  sequestro preventivo penale)  che l’Antitrust evidentemente ritiene di possedere anche nei confronti di soggetti che non compiono alcuna attività illecita, in ciò distinguendosi da quanto pacificamente  stabilito dalle pronunce giudiziali in sede penale che hanno sempre attribuito tale potere alla magistratura ordinaria ( si veda i casi Moncler e Vajont) ed a quanto delineato provvisoriamente  in tema di copyright  dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che, per adottare provvedimenti di tal fatta si è quantomeno posta il problema di rinvenire  una fonte normativa di pari grado rispetto ai diritti che andava a comprimere  nonché di regolamentare analiticamente  attraverso un atto normativo secondario tali poteri.

Seguendo tale impostazione dovremo attenderci ad esempio che l’Antitrust in caso di vendite effettuate tramite piattaforme di aste, provveda a ordinare in via cautelare al titolare della piattaforma ( ed intermediario) la cancellazione di tutti gli account che non rispettano i dettami del codice del consumo, imponendo del pari ai provider di non dare accesso a quella stessa piattaforma.

antitrustinibizione

Fulvio Sarzana

www.fulviosarzana.it
Studio Legale Roma Sarzana & Associati
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