Le conseguenze della sentenza della Cassazione sulla responsabilità dei direttori di testate web – 1 Ma allora la stampa web è sequestrabile?

E meno male che la “blogosfera”è in grado di sviluppare un dibattito importante sulla responsabilità dei direttori delle testate web, ciò significa che la rete è viva e vegeta.  

 Dopo la pubblicazione della sentenza ed i primi commenti oltremodo “trionfalistici”, altri Colleghi ed amici sono intervenuti nel frattempo nella discussione apportando elementi importanti di riflessione.

 In particolare  ritengo molto approfondito il commento che ha fatto l’amico Guido Scorza su punto informatico.

 Guido dice senza mezzi termini che la sentenza è una brutta Sentenza, scritta male, da una penna evidentemente a digiuno di questioni della Rete e costruita su una serie di apodittici teoremi che rischiano di produrre più confusione di quanta già non ce ne sia nella disciplina dell’informazione online.”

 Sono d’accordo con lui, e spero di poter dire senza tema di smentita  che, di fronte ai “peana” trionfalistici delle prime ore, sono stato tra i primi a evidenziare la contraddittorietà sella sentenza.

 Si tratta inequivocabilmente di una sentenza che non innova nel dibattito relativo alla responsabilità di coloro che scrivono sul web ma che invece lascia una serie di interrogativi pesanti come “macigni” su quale legge applicare all’attività di stampa via web.

 Ho cosi deciso di rilevare in più puntate, le gravi contraddizioni insite nella sentenza, iniziando da un profilo non adeguatamente messo in risalto dalla sentenza, ma gravido di conseguenze di carattere anche Costituzionale.

 Come è noto fra i motivi di ricorso ve ne era uno relativo all’impossibilità che un file potesse provare l’effettivo inserimento da parte dei titolari del giornale on line  , in pratica i presunti diffamati avevano prodotto una lettera senza dimostrare che tale lettera fosse stata effettivamente inserita nel sito del giornale on line né che quel file non fosse stato modificato dallo stesso diffamato o da terzi.

 Lo stesso  ricorrente, mostra di aderire ad una impostazione restrittiva sul valore probatorio dei bit da portare in giudizio  sulla falsariga di quanto affermato dalla Cassazione sezione lavoro ( si badi bene Cassazione sezione lavoro e non Cassazione Penale) .

In pratica la prova della diffamazione si sarebbe potuta avere con la certificazione della pagina ad opera di un notaio o di un pubblico ufficiale, ovvero con lo strumento del sequestro.

Questo in  quanto lo stesso Direttore della testata non aveva “riconosciuto” presente sul proprio sito la lettera “presuntivamente” diffamatoria del lettore che poteva essere stata modificata da chiunque nonché non essere mai stata ( nella ricostruzione dei ricorrenti) inserita sul sito.

Ma questa considerazione di carattere civilistico ha delle conseguenze “devastanti” sulla disciplina della stampa perché apre la strada a  possibili sequestri probatori di testate web.

La Corte di Cassazione non si pronuncia sul punto ritenendolo assorbito ( ed invece bene avrebbe fatto ad intervenire visto che molte delle controversie sul web hanno ad oggetto la modificabilità di un file e la genuinità di un contenuto presente wul web) ma dà conto, ed  avrebbe potuto non farlo se non fosse stata evidentemente d’accordo con il ricorrente, nel testo della sentenza  ( e tutti noi possiamo leggerlo)  della seguente frase, attribuita al ricorrente ma che diventa ovviamente parte della motivazione della sentenza:

 “Sarebbe stato facile per gli inquirenti verificare l’autenticità della lettera (scil. il suo effettivo inserimento nel “numero” del quotidiano on line cui apparentemente sì riferisce), disponendo, innanzitutto, il sequestro del “sito”, e quindi incaricando una persona esperta di accertare se esso conteneva lo missiva in questione e incaricando quindi un un PU o un notaio di certificare l’esito dell’accertamento”

 La circostanza che la Cassazione in sede penale, riporti all’interno di una sentenza destinata a fare giurisprudenza sul tema  una frase relativa al sequestro di un articolo di stampa, ancorchè di stampa web, senza in alcun modo censurarla, e con le conseguenze   di carattere costituzionale che sono evidenziate nel seguito è francamente sbalorditivo.

 La stampa infatti  non è sequestrabile ( e per fortuna)  perché secondo la nostra Costituzione la  stessa gode di particolari guarentigie che rendono possibile il sequestro solo nel caso di delitti per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi o nel caso di pubblicazioni e stampati osceni ed offensivi della pubblica decenza, fermo restando il principio generale che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure.

 Il sequestro dei giornali e di qualsiasi altra pubblicazione o stampa è vietato a meno che non sia conseguenza di una sentenza irrevocabile, salva la possibilità di sequestrare 3 esemplari dello stampato a fini probatori.

 Possibile che la Cassazione non si sia accorta che  “avallando”  questa teoria,  nata in un contesto civilistico, o quantomeno senza smentirla, avrebbe lasciato il dubbio che per poter avere la certezza della pubblicazione di un articolo sul web ai fini della dimostrazione della diffamazione, sia necessario adottare  un sequestro vietato dalla nostra Costituzione?

Attenzione che subito dopo la Cassazione equipara il direttore di una testata web ad un blogger,  ai fini dell’esclusione di responsabilità da omesso controllo della stampa tradizionale si, ma lasciando un “vuoto” nelle motivazioni sul punto del sequestro che ha fatto rilevare  giustamente all’amico Marco Pierani che l’equiparazione tra direttore responsabile di una testata web ad un blogger, potrebbe portare ad un’esplosione di sequestri di testate web che verrebbero cosi private della tutela costituzionale riservata alla stampa.

 Dice giustamente Pierani  “Se fosse così non sono sicuro di esserne tanto felice, si negherebbe infatti loro in tal modo la stessa dignità e soprattutto le stesse alte tutele della carta stampata, con il rischio, ad esempio, di dover sottostare a repentini sequestri, come è già capitato a vari blog.”

Altro che “vuoto normativo” invocato dalla stessa Cassazione, il vuoto di carattere costituzionale appare emergere chiaramente dalla sentenza della Cassazione con pesanti ricadute nel campo della libertà di stampa e della  tutela costituzionale del diritto di stampa che, evidentemente, nel caso di stampa via web, sarebbero meno intense di quelle della stampa tradizionale, esponendo il direttore responsabile a strumenti di ricerca della prova molto più stringenti, analoghi a quelli, per dire che hanno visto protagonisti diversi blogger in questi ultimi tempi.

 1 Continua

 

Fulvio Sarzana

www.fulviosarzana.it
Studio Legale Roma Sarzana & Associati
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